CARTOLINA SULL'INFINITO
È noto, il tema dell'Infinito è quello della negazione: la siepe che preclude la vista dell'orizzonte e, per estensione simbolica, Recanati che preclude l'immersione in un'Europa con più ampie prospettive culturali ed in pieno fermento socio-politico; come accade spesso con la censura, tuttavia, tale negazione si tramuta paradossalmente in apertura positiva: se Leopardi non fa parte del mondo in trasformazione, proprio per questa ragione egli può giungere a vedere quel che di permanente vi è nella condizione esistenziale dell'umanità; per questa strada, la sua domanda diventerà essenziale e finirà per coincidere alla perfezione con quella di tutti, a qualsiasi latitudine ed in qualsiasi tempo si trovino, in una sorta di sfericità spaziotemporale.
Vale ora la pena di soffermarsi sulla negazione con esiti paradossali a cui mi riferivo poco sopra per rubricarla senz'altro sotto la voce Eros nel significato più arcaico del termine, seguendo l'Enciclopedia Filosofica Einaudi: la penia (mancanza) materiale genera il poros (mezzo) mentale, che procura un piacere nettamente superiore a quello dell'edonismo volgare. Come a sottolineare in modo adeguato e con forza la fisicità di tale piacere, riporto un passo della Certosa di Parma che Leopardi avrebbe certo sottoscritto: "Di quali miserie l'amore non fa la sua felicità! [...] La miseria delle risorse impiegate dal povero prigioniero avrebbe dovuto, sembra, ispirare a Clelia una maggiore pietà. Egli voleva corrispondere con lei per mezzo di caratteri che tracciava sulla sua mano con un pezzo di carbone di cui aveva fatto nella stufa la preziosa scoperta; avrebbe formato le parole lettera a lettera, e successivamente. Quest'invenzione avrebbe raddoppiati i mezzi di conversazione nel senso che avrebbe permesso di dire cose precise". Non c'è poi molta distanza tra questo materialismo e quello di un Genet, celebratore dell'eros di un tubetto di vaselina mezzo spremuto o apologeta del muco (Diario del ladro).
Ai giorni nostri, dopo il capillare genocidio consumistico e massmediale profetizzato con fin troppa precisone da Pasolini, genocidio a causa del quale la facoltà dell'immaginazione viene messa a dura prova dalla produzione di immagini sempre più iperreali, L'infinito suona come una scommessa sulle possibilità del pensiero di creare ancora ectoplasmi di desiderio in piena autonomia, ben al di là delle fantasie cristallizzate in vetro catodico, e di ricavare il proprio "sensistico" piacere prima di tutto in questo scacco dato alle soluzioni immaginative preconfezionate ed omogeneizzate. L'infinito, d'altro canto, risulterebbe ironicamente irrappresentabile da esse; per definizione.
In ogni caso, è naturale che ci si adegui ai limiti ed alle libertà che le circostanze ci mettono di fronte, per cui non è ipotizzabile che con una semplice decisione intellettuale si creino appositamente ostacoli laddove mancano: per restare nel nostro ambito di discorso, ad esempio, rappresenta il colmo dell'insensatezza cercare di eliminare le immagini da un mondo che ne è pieno, magari togliendo di mezzo la tv (esperimento tristemente tentato di recente in Italia), a meno di non voler ricadere nellambito di un volontarismo empatico borghese, come Simon Weil quando, da filosofa, provò a fare l'operaia, o Mishima, quando da scrittore fondò un gruppuscolo militare: patetismi entrambi. Meglio lasciar fare alla casuale necessità della storia collettiva o di quella individuale: "Un cineasta russo, forse Ejzenstein, Pudovkin o Evrejnov, ha scritto che la superiorità dei registi sovietici della fine degli anni Venti si deve unicamente al fatto che all'inizio della loro carriera non avevano pellicola. La guerra mondiale e la rivoluzione sospesero le importazioni di pellicola cinematografica e tutto quel che i cineasti avrebbero potuto fare era sedersi attorno a un tavolo a teorizzare, e cioè esattamente quello che fecero per cinque anni" (D. Mamet, Note in margine a una tovaglia); "Detained in an environment teeming with distorted masculine impulses [a maximum security prison], Beausoleil has furiously tapped into his internal erotic currents to transcend his surroundings. Beausoleil's experiments with his sexual subconscious are key elements of his continuing spiritual and aesthetic development. [...] It is ironic that a prisoner should be so unencumbered of sexual neuroses, while the multitude of contemporary Americans, ostensibly possessed of 'freedom', spend their entire existences in minds and bodies racked with sexual disfunction" (M. Moynihan, Inaugurator of the Pleasure Dome: Bobby Beausoleil, in VV AA, Apocalypse Culture II